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Terracina: la storia, il mito …”Pio Capponi”

scritto da Redazione
Terracina: la storia, il mito …”Pio Capponi”

Davanti alla statua di Soflocle (copia romana, trovata nelle proprietà Antonelli, di un originale greco in bronzo, oggi nei Musei Lateranensi), tra le più belle d’uomo panneggiato che esistano, Pio Capponi, padre del Museo Civico Terracinese, sciolse la commozione che certamente lo prese, in dolcissime lacrime di felicità.

In quell’atteggiamento alto e vigoroso, in quella posa ampia e contemplativa di grande dignità intellettuale, in quella bellezza fatto marmo, egli capì il senso pieno del destino già suo e che più forte lo segnò fino alla fine dei suoi giorni.

Nonostante la sua instancabile attività e il suo ruolo non certamente da comprimario, tanto nello specifico della ricerca archeologica, nei suoi rapporti con Mommsen e l’Istituto Germanico, con quello spirito illuminato di De La Blanchere, on il regio Ispettorato dei Monumenti e scavi di antichità; quanto nel politico-sociale, cin i conflitti con il Consiglio comunale e l’ostinata diffidenza dei cittadini, poco sappiamo della sua vita.

Certamente abbastanza da disegnare una figura geniale di un “dilettante per elezione”, un uomo pieno di autentica passione storico-civile e ferrea volontà, che seppe affermare, al di là e al di sopra degli interessi di parte che lo costrinsero, il valore culturale quale valore primario e fondante della identità sociale di una comunità di uomini.

Nel 1894 (Pio Capponi nasce nel 1848 da Angelo Capponi e Giacinta Venditti), dopo decenni d’intense e proficue ricerche, di conflitti di competenza, di aspre ostilità e differenze, una delibera comunale emise pubblico encomio nei suoi confronti e decretò la nascita del Museo Civico Terracinese, come da lu richiesto, in alcuni locali della piazza del Semicerchio, di cui fu curatore e ispettore agli scavi.

All’inizio del 1900, oltre al materiale già raccolto, le stanze museali si arricchirono di nuove acquisizioni provenienti da collezioni private.

Il 10 maggio 1902 il conte Agostino Antonelli cedette il materiale di proprietà familiare, in donazione perpetua, al Museo e quattro anni dopo lo stesso Pio Capponi donò la sua raccolta di stampe e incisioni. L’anno successivo stilò il primo inventario degli oggetti conservati e nel 1912 quello definitivo, informa di dattiloscritto: documenti preziosi che danno la reale consistenza della collezione, fornita di circa 400 pezzi, e l’idea dell’organizzazione interna dello spazio museale.

Nel 1915, tre anni dopo, Pio Capponi morì, e con lui si spense la testimonianza di come quel “valore culturale” di cui fu il rappresentante eccellente forse l’unico capace di generare quei “segni di civiltà” senza i quali non esiste memoria, non esiste città, ma un aggregato informe e malfermo di uomini senza passato né futuro, in balia delle mode e dei capricci del momento.

Iniziò difatti dopo di lui l’incredibile travaglio del Museo Civico Terracinese, il quale in quasi 100 anni dopo la fondazione è già stato spostato quattro volte, con la perdita irreparabile di quasi la metà dei reperti, e che non vede a tutt’oggi nessuna definitiva risoluzione.

Un travaglio che ha attraversato generazioni di uomini (i Sogliera, i Mangoni, i Della Fornace, i Bonanno, lo stesso Arturo Bianchini, storico e direttore del Museo dal ’60 al ’67, fino a Mario Di Mario che gli successe), il cui sacrificio, il cui impegno e lavoro è offeso da quel “primato della politica” sul “valore culturale” che non decide nulla, non produce nulla, se non il vuoto sterile delle mancate decisioni.

E offesa è soprattutto la città, i cittadini, defraudati di ciò che gli appartiene, privati del loro “passato”.

I “segni di civiltà” quando non si realizzano, dimostrano il contrario, si può essere cioè ricchi e incivili, e per ironia della sorte nell’inseguire l’illusione di ricchezza ci si può ritrovare né ricchi né civili: “O tempora! O mores!” disse Cicerone e non invano.

 

Venceslao

Intervento pubblicato dal periodico “Controcorrente”  nel febbraio 1990.

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