domenica 19 Maggio 2024,

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Terracina. La sociolinguistica dialettale e il “Vate della cantina”

scritto da Redazione
Terracina. La sociolinguistica dialettale e il “Vate della cantina”

Il nostro percorso rivolto a far conoscere alle nuove generazioni le piccole storie della vita popolana terracinese degli anni che furono continua con apprezzabile interesse da parte dei cittadini, che leggono gli episodi attraverso le piattaforme social.

Nell’occasione vogliamo far rilevare un dato che riteniamo essenziale rispetto alla materia trattata: il dialetto non mostra segnali di estinzione, anzi resiste all’influsso strutturale della lingua italiana.

Per questa ragione notiamo come la lingua nazionale e il dialetto (anche terracinese) si saldano per i più svariati bisogni comunicativi e come rafforzativo del pensiero che si vuole rilevare.

L’utilizzo della lingua dialettale, alternata con l’italiano, è diventato quindi una delle principali tendenze dell’attuale situazione sociolinguistica e sembra rappresentare la principale forma di vita futura per il dialetto.

Entrando nella prefazione dell’odierna puntata, oggi attingiamo a episodi della feconda pubblicistica di z’Menecucce (Domenico Paravani): alfabbèteche, felòsefe, puèta, marenare, scaricatore de porte, onnivoro; cajne, zazzicchej, cane, jatte, capetone e saejttone: grumava tutte chèlle che se putèva grumà.

Ed è uno z’Menecucce nella sua qualità migliore: quella di gran puètone e originale “Vate della cantina”.

Con questa specificità z’Menecucce è rimasto nell’immaginario collettivo dei terracinesi dei  primi anni del dopoguerra che “socializzavano” tra i ritrovi pubblici (cantina o bar) e le strade dei quartieri delle “Capanne” e la “Marina”.

 

Everardo  Longarini

 

 

Poetica de z’Menucucce

Lima vecchia

O lima vecchia mala arebattuta pecchè vai dicènne al monti che mi sei lassato?

D’piuttosto che non ti sono voluta.

E mò che ti sono rotte la slaiera nen te j’ampreste ppù ju pista sale,

e canti: fior de mortella pija la ratta case e rattateèlla.

 

La barca

Sono armati na barca di pinzieri e dènti mi ci soni messi a navigaro.

Soni alzati la vela a lla prua p’arrivari al porti e metteri bandiera.

Luccicavene j’occhi miei di marinaro.

Mille notti soni navigati e mille giorni pieni di speranzi.

Ma quanti sono giunti la vela era stracciata e la barca tutta sfasciata.

Bella – allor ce dèssi – muti il tuo pinzieri; chèsta barca non po più navigari.

 

 

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