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C’era una volta Terracina … Chiesa e Convento di San Francesco. Alcuni fatti ed un grande misfatto storico

scritto da Redazione
C’era una volta Terracina … Chiesa e Convento di San Francesco. Alcuni fatti ed un grande misfatto storico

 

Nel 1815, una serie di felici circostanze, tra cui furono fondamentali la volontà del vescovo di Terracina, Francesco Albertini, e le pressioni di Gaspare del Bufalo, indusse Luigi Locatelli, prete d’origine terracinesi, ma ormai avviato ad una brillante carriera di predicatore in Roma, a far ritorno a Terracina.

Il Locatelli era fin troppo attivo per la città di frontiera ed un po’ assonnata come Terracina, ma anche troppo stimato negli ambienti della curia papale per restare a lungo in un paese di provincia.

Due progetti mirati alla formazione civile e religiosa dei giovani, avrebbero dovuto portare, di lì a breve, all’apertura di due istituti scolastici: il Collegio di Gioventù, con sede nel Convento di San Francesco, ed il Monastero del Preziosissimo Sangue, presso il Castello Frangipane, il primo per i maschi, il secondo per le femmine.

Oltre a questi due obiettivi liberamente assuntisi, il Locatelli continuava l’attività di predicatore per cui era noto, ed in più ebbe dallo stesso Pio VII il particolarissimo incarico di trattare con i briganti degli Ausoni la loro resa in cambio dell’amnistia.

Durante la pasqua del 1820, Locatelli fu inviato a predicare le missioni a Sonnino. L’atmosfera nel paese era molto ostile: il Pontefice aveva, forse troppo precipitosamente, ordinato di radere al suolo tutte le abitazioni del paese, nel tentativo di eliminare i numerosi briganti sonninesi. Le demolizioni erano già iniziate.

In ogni modo, anche per intercessione di Gaspare del Bufalo, era in atto un ammorbidimento della linea di condotta. Locatelli seppe sfruttare, oltre alle sue qualità d’oratore, anche la sospensione degli abbattimenti. Dopo Pasqua, servendosi dei parenti dei banditi, andò a stabilire sulle montagne il contatto diretto con i più feroci capibanda, tra cui il vallecorsano Alessandro Massaroni e Gennaro Gasbarrone (fratello di Antonio, ospite in quel momento delle pontificie galere in Cento, provincia di Ferrara).

Nell’estate del 1820 iniziarono lunghe e complesse trattative, interrotte da continui ripensamenti e rilanci al rialzo delle condizioni per la resa. Gli incontri avvenivano dapprima nel Convento dei Passionisti (chiesa dell’attuale cimitero), poi si spostarono, a due passi delle mura cittadine, nel Convento di San Francesco. Per tutta l’estate si trattò, quando tutte e due le bande sembravano ormai convinte a deporre le armi, Massaroni abbandonò le trattative e riprese la strada dei monti.

Fu così che il progetto riuscì per metà.

Il 4 ottobre del 1820, nella chiesa di San Francesco ci fu la cerimonia della resa di 18 briganti della banda sonninese.

Riporta il Montani, cronista dell’epoca:”Alla fine, dopo di aver tutti depositate le loro armi d’innanzi all’immagine di sopra nominata (quella della Mater Amabilis) con una candela nelle mani (il Locatelli) l’introdusse nella chiesa di San Francesco processionalmente e li diede in potestà del Governo.

Ed invero fu quest’operazione difficilissima, ma mentre il vedere chini e con le candele in mano coloro, che poco fa macchiavano di sangue umano nelle maniere più barbare, se non ha dell’incredibile, portentoso al certo rassembra”.

Per due motivi erano saltate le trattative con Massaroni e la sua banda: 1°) I falchi dello Stato Pontificio, favorevoli a soluzioni militari, criticavano il «procedere alla pretina» ed in tutti i modi cercavano di sabotare le trattative. 2°) I «costituzionalisti Massoni” del regno di Napoli, e lo stesso esercito di Franceschiello, cercavano di allettare i briganti facendo loro balenare la prospettiva di un ingaggio fisso alle dipendenze del Regno.

In questo tira e molla maturò l’assalto al collegio, a riprova che l’unico vero pentimento tra i briganti era quello di essersi pentiti. La sera del 23 gennaio 1821, alle ore 18,30, una ventina di uomini guidati dal Massaroni circondò il Convento di San Francesco. Il lungo soggiorno in attesa di pentimento in quelle stanze, aveva fatto conoscere, tempi, abitudini e disposizione dei locali.

Proprio dove l’odierna via Anxur si congiunge con Via San Francesco i briganti di s’imbatterono nell’insegnante Don Domenico Cerilli che ritornava al convento per la cena e lo catturarono. Di lui si servirono per farsi aprire dal guardiano Luigi Fusi che, in ogni modo, si seppe più tardi, era d’accordo con i briganti. Gli ostaggi 24 ragazzi ed insegnati, furono avviati verso i monti, prendendo la via che conduce al cimitero attuale.

Sulla strada incontrarono il carabiniere a piedi, Ercolano Ercolani, questi fece fuoco, ma uccise solo il povero Don Domenico, usato come scudo e non poté evitare lui stesso un paio di schioppettate. Nel trambusto che ne seguì, quattro ostaggi riuscirono a fuggire. Ormai Terracina era in allarme, ma non poté fare altro che attenersi alle condizioni poste dai briganti, le quali, da lì a poco, furono riferite dal guardiano rilasciato durante la notte. I briganti chiedevano un riscatto spropositato: duemila scudi per ogni alunno.

Iniziò allora una frenetica gara di solidarietà. Il vescovo, Monsignor Manasse, dette tutto quello che possedeva, denaro argenteria e la stessa croce pastorale, i parenti dei ragazzi posero all’incanto i loro beni, gli stessi cittadini, consegnarono nelle mani del banditore, che andava su e giù per il paese, le scarse monete che allora circolavano. Tra la città e Valle Viola, in comune di Monte San Biagio, per otto giorni fu un via vai continuo di donne che portavano viveri, di messi che portavano soldi, mentre i briganti centellinavano i rilasci.

Il 31 ottobre, l’ultima spedizione con soldi ed oggetti preziosi fu la più drammatica. Restavano nelle mani di Massaroni tre collegiali: Tommaso Fasani di 17 anni, Pietro D’Isa di 16 anni e Giuseppe Papi di 14 anni; si pensava di essere giunti all’ultimo atto, ma proprio in quel momento un bandito portò al capobanda un dispaccio intercettato: in esso le due truppe confinarie concordavano un attacco combinato. Massaroni si sentì tradito e, prima di levare il campo, dette ordine al suo vice, Antonio Vittori di scannare i ragazzi. Inspiegabilmente il Fasani fu risparmiato, mentre Pietro D’Isa e Giuseppe Papi furono trucidati.

Il giorno dopo i cittadini di Monte san Biagio recuperarono i corpi dei due ragazzi che, portati a Terracina, dopo solenni funerali furono sepolti nella chiesa di San Francesco.

 

 

e.l.

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