martedì 21 Maggio 2024,

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Politica agricola comune, l’Italia punta i piedi

scritto da Redazione
Politica agricola comune, l’Italia punta i piedi

Tempo di revisione per la Politica agricola comune dettata dall’Unione europea. La Politica Agricola Comune (PAC) rappresenta l’insieme delle regole che l’Unione europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri. Ai sensi dell’articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea persegue diversi obiettivi tra cui l’incremento della produttività dell’agricoltura; l’assicurazione di un tenore di vita equo alla popolazione agricola; la stabilizzazione dei  mercati; la sicurezza degli approvvigionamenti; la calmierazione dei prezzi nei confronti dei consumatori.

Sono diverse le modifiche che la Commissione europea ha proposto all’interno del più ampio pacchetto Omnibus, che hanno come obiettivo quello di migliorare questo importante strumento di sostegno all’agricoltura e che dovranno essere attuate dal ministero delle politiche agricole. Il gruppo di lavoro sui mercati, creato nel gennaio 2016, ha presentato la sua relazione finale nel novembre dello stesso anno, suggerendo miglioramenti sulla regolamentazione della catena alimentare e dei mercati agricoli che dovrebbero sfociare in proposte legislative. Ma a proporre modifiche sono stati, di recente, anche i vertici politici italiani che puntano su tre cardini.

Il primo riguarda l’estensione a tutti i settori delle disposizioni del pacchetto latte che mirano a favorire la concentrazione dell’offerta e la condivisione delle funzioni organizzative e commerciali. Il secondo la facilitazione dell’accesso agli strumenti di agevolazione economica per gli agricoltori.  La riforma del 2013 ha infatti  introdotto strumenti interessanti che però non si sono diffusi. Ne sono un esempio i fondi mutualistici. L’Italia ha intenzione di chiedere che  questi strumenti siano resi più accessibili  con l’abbassamento al 20% della soglia per l’indennizzo delle perdite di reddito, anche in caso di danni naturali, e anche per le polizze assicurative agevolate.

Richieste di modifiche arriveranno anche per cosiddetto comparto “greening”. Il governo è intenzionato a chiedere l’innalzamento a 15 ettari della soglia oltre la quale scattano gli obblighi di diversificazione ma anche l’eliminazione della soglia di 30 ettari per le aziende che per oltre il 75% della loro superficie sono coperte da colture e pratiche ecologiche. Inoltre l’obiettivo del governo è quello di includere le colture erbacee, le colture sommerse e le leguminose nel novero di quelle sostenibili. Ma che cosa si intende per comparto greening? Si tratta dei cosiddetti  “pagamenti all’agricoltura verde” o componente “ecologica”, che rientra nel cosiddetto processo di inverdimento o greening della Pac. Secondo la Commissione  europea infatti i pagamenti diretti ossia dei fondi erogati agli agricoltori “green”, possono essere elargiti a determinate condizioni: per i terreni dai 10 ai 30 ettari devono essere garantite almeno due colture, che diventano tre in caso di terreni superiori ai 30 ettari, mentre i pascoli  e prati devono essere mantenuti per almeno cinque anni. Ad oggi sono previste delle esenzioni da tali obblighi ma solo per alcune tipologie di aziende: quelle biologiche o quelle munite di certificazioni ambientali e per quelle che hanno oltre il 75% della superficie occupata da pascolo permanente o foraggere.

“E’ bene che l’Italia faccia sentire la sua voce in Europa in un settore rilevante come quello dell’agricoltura – ha spiegato Nicola Tavoletta presidente provinciale di Acli Terra -. Nello stesso tempo c’è un problema che però va subito affrontato ed è quello delle tariffe erogate ai produttori che vendono la loro merce. Troppo spesso il prezzo pagato dal consumatore è alquanto superiore a quello erogato all’agricoltore che riesce a malapena a ripagare le spese. Stiamo parlando di un settore d’eccellenza in Italia, con capacità di esportazione infinite. Un settore che trova nel Bel Paese un habitat naturale per lo sviluppo e che può diramarsi in diversi compartimenti. Un settore dove possono trovare applicazione la ricerca scientifica, lo sviluppo tecnico, l’imprenditoria e che può dare lavoro  a migliaia di persone con le più disparate mansioni. Occorre però che questo settore, essenziale per la vita di tutti noi, sia appetibile anche da un punto di vista economico e non resti ad appannaggio di pochi coraggiosi o appassionati. Se ci sono delle storture nel sistema della distribuzione e commercializzazione queste vanno analizzate e modificate. Molto produttori si sono già attivati da soli trovando nei cosiddetti mercati a km zero (molto apprezzati anche dai consumatori attenti in provincia di Latina) una risposta a tale problema ma è il sistema generale che va assolutamente migliorato”. Uno dei grandi crucci per gli agricoltori sono i prezzi corrisposti per i prodotti agricoli. Che cosa intendete fare a riguardo? “Il nostro obiettivo è quello di riequilibrare il potere contrattuale all’interno della filiera agroalimentare per dare maggiori poteri agli agricoltori. Questo processo non puó che passare attraverso formule organizzative e modelli contrattuali collettivi. Abbiamo proposto delle soluzioni che hanno come obiettivo favorire le opportunità di concentrazione dell’offerta e di condivisione di funzioni di tipo organizzativo e commerciale. Accanto alle Organizzazioni dei produttori vengono introdotte le Organizzazioni di contrattazione, gruppi di agricoltori che si uniscono per contrattare prezzi migliori o per condividere funzioni, come quella commerciale o di marketing”.Parliamo di tempistiche, quando queste modifiche saranno valide? “Il termine ultimo è il primo gennaio 2018. Insieme a Dess abbiamo presentato in commissione Agri il nostro parere che ora dovrà essere approvato dalla Plenaria entro maggio. La palla poi passerà al Consiglio con cui dovremo trovare una mediazione”. Per quanto riguarda la definizione di agricoltore attivo ci sono novità. “La Commissione voleva demandare agli Stati membri la decisione di scegliere i soggetti destinatari dei fondi Pac. Noi ci siamo opposti e chiediamo che non venga toccata la definizione di agricoltore attivo e la black list stilata durane la scorsa legislatura. Questo per evitare che soggetti non agricoli ricevano fondi”.

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