giovedì 16 Maggio 2024,

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J’Assessore a j pesciatùre

scritto da Redazione
J’Assessore a j pesciatùre

Nella puntata odierna ci interessiamo di un fatto politico e amministrativo, che apparentemente può sembrare di basso profilo, ma considerato il periodo storico in cui è accaduto, siamo intorno agli anni ’20 del secolo scorso, è di una cultura civica di straordinaria importanza, fatta salva l’incapacità da fine dicitore del proponente dell’epoca, che  ad opera compiuta, fu riconosciuto a imperitura memoria dal popolo terracinese come “j’assessore a j pesciatùre”.

Se questa metafora della vita politica e amministrativa della città che fu, la compariamo alle rinnovate richieste dei sindacati dei pensionati di  Terracina,  quasi dello stesso tenore, possiamo forse ben dire che ogni epoca ha i suoi corsi e ricorsi.

Buona lettura.

Everardo Longarini

 

 

J’Assessore a j pesciatùre

 

Intorno al 1919/20 straordinario diversivo serale dei terracinesi erano le riunioni del Consiglio comunale.

Lo frequentavano come se fosse un teatro perché, come in un teatro, si dicevano e  accadevano le cose per loro più impensabili e si divertivano da matti.

Si rappresentava la farsa e la commedia, che ad un attento esame risultavano, poi essere dei drammi recitati a loro danno.

C’era, per esempio, il consigliere Approva, un “vallecorsano” che non parlava mai ma alzava sempre un braccio per approvare quanto era stato proposto.

Il bello, però, stava in questo: che dopo aver approvato quanto proposto da uno approvava anche l’esatto contrario proposto da un altro.

Per lui l’ultimo a parlare aveva sempre ragione.

Da un po’ di tempo, però, più nutrita era la partecipazione perché le uscite “estemporanee” dell’assessore anziano e assessore alla sanità sig. Pietro L. erano fonte d’infinito divertimento.

Qualunque fosse l’argomento o gli argomenti all’ordine del giorno, al momento del dibattito chiedeva la parola e rilanciava la frase “fatidica” che doveva renderlo celebre: – Io propongo di far il pubblico orinatoio abbasce alla Vòta.

Sor Pietro – rispondeva paziente il sindaco – ora dobbiamo discutere dei “tagli” alla Macchia.

E io sto discutendo dell’orinatoio abbasce a lla Vòta! E anzuppurtabblo che in tempi ciovili i cittadini tèvono antoro cachènne e pesciènne p’a ‘mmniezze a lle vie!

Il progresse dei popoli ella civiltà tèvono essere … tèvno essere …

E qui, con spasso dell’inclito pubblico, si impappinava. Per quanti sforzi facesse non riuscì mai a ricordare il bel discorsetto che con tanta cura, pazienza e onesto sudore il segretario comunale gli aveva preparato, e lo terminava invariabilmente scaraventando un pugno sul bancone urlando incavolatissimo:

Besogna fa il pubbliche orinatoio!

Intorno agli anni trenta a pubblici orinatoi erano adattate delle rientranze ad angolo di mura, senza un riparo qualsiasi che isolasse dagli sguardi dei passanti. Avevano due ferri ad arco infissi all’altezza di un 50/60 centimetri l’uno dall’altro e, più in alto appese ad un chiodo, delle frasche di mòrtele che la mattina gli spazzini addetti irroravano di creolina. E non solo quelle, ma quasi mezzo vicolo, perchè il liquido scorreva dappertutto, s’infiltrava  negli interstizi della pavimentazione, si “cuncullava” e … fermiamoci qui, che tanto avete capito bene quale odorino di Chanel n5 si diffondeva all’intorno.

Stavano dunque così le cose, finché una sera dopo l’ennesima “sparata” del sor Pietro, il sindaco, stanco ed esasperato, e come forse più incazzato lui, urlò al geometra comunale di fargli quello stramaledetto pisciaturo così sta storia sarebbe finita una santa e buona volta.

E così fu.

Sorse alla curva della Vòta, come inflessibilmente voluto dal sor Pietro, e tutti in granagliato prefabbricato, specialità della famosa ditta Renzi.

L’ingresso dava accesso a un piccolo corridoio che dava adito a un gabinetto con tazza turca a destra ed un orinatoio a sinistra e sul fondo, un piccolo lavandino.

Sovraintendente Generale Sanitaria fu nominata Rusina Coccia, celebre, onesta puttana terracinese ormai fuori servizio perché vecchia.

Ma esso rimase un bello ed inutile monumento alla “civiltà” del paese, perché i “cittadino” continuavano  imperterriti a fare i loro bisogni corporali dove i padri dei loro padri li avevano sempre fatti: nei vicoli e nelle piazzette.

E non perdevano occasione il sor Pietro, di farlo ammirare ai forestieri ospiti della città. Per lui, ormai, simbolo dell’alto grado di civiltà raggiunto dal paese era soltanto “ju pesciature e cacature d’abbasce la Vòta” e con modestia che mal celava l’orgoglio, mormorava soddisfatto: E’ opera mia!

 

Nella foto: Mariettina

 

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