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Terracina: la storia, il mito … le origine del suo nome

scritto da Redazione
Terracina: la storia, il mito … le origine del suo nome

Qualche tempo fa lessi su un giornale una pagina pubblicitaria su Terracina nella quale l’ignoto articolista dava per scontato che l’antico nome della città fosse Terracena e ne spiegava l’origine. Essendo stata fondata dagli spartani e non possedendo costoro suppellettili, o non volendone possedere, mangiavano stando seduti in terra, per cui Terracena proviene da Cena in Terra.

Dionigi d’Alicarnasso afferma che essa fu fondata da esuli spartani, è vero, ma sul nome dice ben altro.

Ricapitolando: Dionigi d’Alicarnasso afferma che fu fondata da esuli spartani e chiamata Tarchine.

Gli Etruschi la chiamarono Tarachine (versione accettata dalla maggior parte degli studiosi) mentre fu Tarkna per P. Donati – Tarxuna per La Blanchère – Terracena per il Contatore – Tarcina per L. Ceci, per il Pais e per il Devoto.

Dagli Ausoni (Latini, Rutuli ma soprattutto Osci), secondo l’Abate Mastranga, fu chiamata Anxur o AnxoranusAnxyrus (Servio) – dal radicale Anx, voce affine al linguaggio umbro – bruzio che vuol dire stretta o aspra.

Conquistata dai romani nel 348 riprese il nome etrusco latinizzato di Taracinae, o forse in quel periodo aveva già subito un’evoluzione. Come si vede c’era fra gli studiosi una certa divergenza sulla grafia, ma sostanzialmente erano d’accordo.

Altra divergenza era sull’origine.

Alcuni sostenevano che fosse un nome etrusco, altri lo negavano sostenendo che fosse di più antica origine indo-europea, e il tempo ha dato ragione a questi ultimi.

Infatti, l’origine del nome Terracina va attribuito al mito orientale di Tagete e Tarchon, portato da quei popoli nelle loro spinte verso l’occidente e la loro diffusione nel bacino del Mediterraneo.

Tages o Tagete è la scrittura, i Libri e Tarchon il Lettore, l’interprete, per usare un termine familiare.

La religione degli Etruschi, come quella di molti popoli antichi, era una religione che parlava da libri vetusti intorno ai quali aleggiava l’aurea del mito.

La scrittura sentì a lungo l’arcano di un divino privilegio consegnato dagli dei ai loro interpreti – fosse essa incisa in caratteri cuneiformi, pittografici o alfabetici – che fissano in un corpo le regole del vivere civile e religioso.

Dai Libri Tagetici sappiamo ora che sono libri delle antiche testimonianze.

Gli antichi attribuirono le loro leggi alla divinità, come Hammurabi, che dettava i suoi precetti sotto l’occhio onniveggente di Shamasch: il Sole; come Mosè, che trasse dal volere divino i comandamenti del suo popolo; come Numa che ebbe ispiratrice la Ninfa Egeria.

Nel periodo della civiltà etrusca dovevano già essere smarriti i valori semantici dai vari nomi e nessuno immaginò che Tagete – il genietto alato che appare a Tarchon nello specchio di Toscanella – fosse un’antichissima parola che alle origini significò semplicemente Libri, come nessuno sospettò mai che Tarchon avesse in realtà il significato di “Interprete” (Semeraro).

Essi, però, rimasero nella memoria che richiamava un Tarchunus, antichissimo aruspice, che ricevette da Tages i comandamenti del loro popolo.

 

 

Genesio Cittarelli

scritto del 1989 e pubblicato dal periodico Controcorrente

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