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Fatti e personaggi della Terracina di altri tempi:”Sughe de Pempedòre”

scritto da Redazione
Fatti e personaggi della Terracina di altri tempi:”Sughe de Pempedòre”

Prosegue con sempre più interesse di tanti giovani terracinesi la nostra saga nel proporre, in rigoroso dialetto, alcune vicende dei tempi andati.

Quella che si persegue con tenacia è un’operazione di esclusiva pubblicistica per chi oggi vive la città e non ne conosce i suoi trascorsi popolari.

Sono tutte storielle che appartengono a una comunità perduta, che non aveva pretese di successo sociale o intellettuale e che ritornano dall’oblio del tempo per rivivere “in gloria” una stagione diversa.

e.l.

 Sughe de Pempedòre

 Sughe de Pempedòre o Mastu Rafaièle (Raffaele Iannarilli) a suo modo era un personaggio di spicco nella Terracina tra gli anni che vanno dal novecento al novecentoventicinque.

Un vecchio, modesto lustrascarpe al quale la natura era stata matrigna privandolo di una parte del ben dell’intelletto.

Non lo si può ignorare se si vuole descrivere la piazza e la sua animazione intorno a quegli anni, come non si può ignorare il suo accanito e acerrimo concorrente: Mastu Mattèj – altro tipo al cui il cervello alla nascita se ne sera andato per conto proprio e che nessuno riuscì più a ritrovare.

Descrivere la Piazza di quegli anni e tralasciare di parlare di questi, o almeno di Sughe de Pempedòre, sarebbe una grave mancanza e imperdonabile mutilazione delle realtà, essendone essi parte viva, integrante, caratteristica e inscindibile.

Infatti, Gigi Nofi, ambientando nella Piazza il primo e il secondo atto de “I meliùne de cumpà ‘Ntònej” non potè esimersi dal farvi comparire almeno uno dei due: Sughe de Pempedòre.

Abitualmente piantavano bottega ai due cantoni opposti del Palazzo Municipio e la loro maggiore attività giornaliera era quella di guardarsi in cagnesco, intervallata, specialmente da Sughe de Pempedòre, dalle bastonate che rifilava a qualche ragazzo che incautamente gli passava a tiro, dei quali era il soggetto di beffe e scherzi pesantucci anzichenò.

Erano lo spasso crudele anche degli adulti sfaccendati della Piazza, che sapevano come metterli “l’uno contro l’altro armanti”.

Qualcuno sussurrava a Sughe de Pempedòre che Mastu Mattèj andava dicendo che lui nel lucido vi metteva del sugo di pomodoro e qualche altro insinuava a Mastu Mattèj che Sughe de Pempedòre lo calunniava dicendo che lui nel lucido vi metteva lu rite tretate (il vetro tritato) e l’orina.

L’espediente al quale ricorrevano era sempre questo e loro, data la limitatezza encefalitica, vi cadevano sempre come allocchi.

Allora, sia l’uno che l’altro, bollendo d’ira repressa, cominciavano, con dei calcetti, a spingere la “bottega” verso l’altro, fino a congiungersi all’altezza del’ingresso del Municipio dove, invariabilmente, avveniva lo scontro.

Sughe de Pempedòre, brandendo alto e minaccioso il nodoso bastone, con quel suo linguaggio lento e pausato, mormorava trucemente:

  • Vide … che …te la scròcche, vèh!

E l’altro, immobile, testa a testa, fissandolo altrettanto truce, lo sfidava, lento e cadenzato:

  • E pruèvece, se sì bbuène?!.

E l’uno replicava con la stessa frase e l’atro controreplicava con la medesima risposta.

Per quattro, cinque volte facevano questi bellici preliminari, dopo di che Sughe de Pempedòre, rompendo ogni indugio, calava con forza, forza poi! E chi gliela dava? il bastone sul groppone dell’altro che replicava immediatamente.

Le “botteghe” finivano sottosopra.

Spazzole e stracci che saltavano impazziti dappertutto … scatole di lucido che ruzzolavano per la Piazza.

Quando finalmente stanchi, ma non domi, si separavano, continuavano il litigio con gli astanti al fine di recuperare la “merce” che quelli, nel frattempo, avevano nascosto.

 

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